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Project Manager tradizionale vs Agile: cosa ho imparato sul campo

  • Immagine del redattore: Lorenzo Ambrogi
    Lorenzo Ambrogi
  • 3 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

Introduzione

Quando ho iniziato a lavorare come Project Manager, seguivo un approccio classico: pianificazione dettagliata, controllo dei tempi, Gantt e milestone. Poi, con l’esperienza e alcuni progetti complessi, ho iniziato a usare principi Agile. In questo articolo ti racconto le differenze che ho vissuto tra il ruolo del PM tradizionale e quello Agile, e cosa ho imparato coordinando team diversi, senza framework rigidi ma con mentalità flessibile.


La differenza sta nella mentalità

Nel project management tradizionale, il PM è al centro: pianifica, assegna, controlla. Il flusso è lineare: si definiscono scope, tempi, budget e si esegue. Questo approccio funziona bene se il contesto è stabile, come nei progetti infrastrutturali o regolati. Con Agile, cambia il modo di pensare: si accetta che non tutto sia chiaro all’inizio, e si lavora per iterazioni. Il team è più autonomo e il PM diventa facilitatore e ponte tra stakeholder, prodotto e sviluppo.

Esempio: in un progetto d’integrazione tra due sistemi aziendali, ho capito che pianificare tutto nei dettagli non funzionava. Le interdipendenze cambiavano in corsa. Coordinando i team con check frequenti e obiettivi adattivi, ho ottenuto più chiarezza e meno attriti.


Ruoli e responsabilità: accentramento vs collaborazione

Nel modello classico, il PM è il “capo progetto”: prende decisioni, approva tutto, comunica in verticale. La comunicazione è spesso unidirezionale: il team esegue, il PM controlla. In un approccio Agile, la responsabilità è distribuita. Il team è coinvolto nelle decisioni, propone soluzioni, partecipa alla pianificazione. Il PM (o Scrum Master) facilita il processo più che gestirlo. Esempio: ho lavorato con team tecnici che davano il meglio quando potevano proporre soluzioni e stimare i tempi. Quando invece ricevevano solo task imposti dall’alto, la motivazione crollava. Lasciare spazio non è una debolezza: è un investimento.


Cambiamento e gestione del rischio

Un altro aspetto chiave è la gestione del cambiamento. Nel modello tradizionale, il cambiamento è un rischio da evitare. Ogni modifica implica costi, ritardi, burocrazia. Con Agile, il cambiamento è parte del processo. Non lo subisci: lo gestisci. Ogni iterazione è un’occasione per adattarsi a nuove esigenze. Il rischio si affronta con cicli brevi e feedback costanti. Esempio: nel progetto d’integrazione, il Product Owner ha modificato un requisito chiave a metà percorso. In un approccio rigido, avremmo dovuto bloccare tutto. Invece, abbiamo ridefinito le priorità e riallineato gli obiettivi in corso d’opera, assorbendo il cambiamento senza perdere il ritmo.


Il mio passaggio da “controllore” a “facilitatore”

All’inizio, pensavo che il mio valore come PM fosse “controllare tutto”. Col tempo, ho capito che era più utile creare spazi chiari, rimuovere ostacoli e far emergere il potenziale del team. Esempio: all’inizio imponevo le scadenze: “Questo va consegnato entro venerdì”. Poi ho capito che era più utile chiedere “Quanto tempo ti serve?” e subito dopo “Come posso aiutarti a lavorare al meglio?”. Quel cambio di approccio ha migliorato fiducia, dialogo e risultati. Non serve diventare Scrum Master per applicare la mentalità Agile: si può iniziare anche da qui.


Conclusione

Essere un Project Manager Agile non vuol dire buttare via ciò che funziona nel modello tradizionale. Vuol dire sapere quando cambiare approccio.👉 Nei prossimi articoli parlerò di strumenti pratici per chi vuole fare questo passaggio. Se ti interessa, seguimi su LinkedIn o iscriviti al blog. Hai fatto anche tu il passaggio da PM “tradizionale” a Agile? Scrivimi o raccontalo nei commenti: mi interessa ascoltare chi ci è già passato.


 
 
 

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